La corsa alle tecnologie quantistiche è ormai diventata una delle nuove frontiere della geopolitica dell’innovazione. I qubit, gli algoritmi quantistici e la sensoristica ad altissima precisione non appartengono più soltanto ai laboratori di fisica teorica, ma definiscono il terreno su cui si gioca la competitività economica, la sicurezza nazionale e la stessa sovranità tecnologica dei Paesi. È in questo scenario che in Italia è stato pubblicato, nel febbraio 2025, il documento sulla Strategia Nazionale per le Tecnologie Quantistiche: un documento che, pur arrivando in ritardo rispetto ai maggiori concorrenti europei, rappresenta il tentativo di colmare un divario potenzialmente decisivo.
In Europa, la Germania ha già investito oltre due miliardi, la Francia ha varato un piano da 1,8 miliardi, mentre il Regno Unito consolida la propria leadership con una filiera industriale in rapida crescita. Bruxelles, dal canto suo, prepara un Quantum Act per armonizzare gli sforzi degli Stati membri e finanziare infrastrutture paneuropee di calcolo e comunicazione quantistica. L’Italia si muove con risorse più contenute: 227 milioni stanziati tra il 2021 e il 2024, sufficienti a stimolare ricerca e reti di partenariato, ma lontani dagli standard necessari per costruire una filiera autonoma e competitiva.
Eppure, il Paese dispone di punti di forza rilevanti. Sul piano scientifico, l’Italia occupa il settimo posto al mondo per numero di pubblicazioni in quantum computing. Le università e i centri di ricerca – dal CNR all’INFN, dall’INRiM a diverse eccellenze accademiche – presidiano tutti i pilastri individuati dalla strategia europea: calcolo, simulazione, comunicazione e metrologia/sensoristica. In particolare, la comunicazione quantistica e il sensing hanno raggiunto livelli di maturità tecnologica significativi, con startup e spin-off già in grado di immettere sul mercato soluzioni di Quantum Key Distribution o dispositivi di misura ultra-sensibili.
Ma i nodi strutturali restano pesanti. Il numero di startup è limitato, la capacità di attrarre capitali di rischio molto inferiore rispetto a Stati Uniti, Regno Unito o Francia. La mancanza di fonderie specializzate costringe a rivolgersi all’estero per la produzione di componenti critici, con evidenti rischi per la tutela della proprietà intellettuale. A questo si aggiungono le difficoltà di accesso alle infrastrutture di calcolo, spesso concentrate in pochi poli e non sempre disponibili al tessuto produttivo nazionale.
La Strategia propone di affrontare questi limiti con un approccio integrato: sviluppare una filiera industriale che vada dall’hardware al software, incentivare il venture capital, rafforzare l’accesso alle infrastrutture europee e promuovere il trasferimento tecnologico dai laboratori alle imprese. Centrale è anche la dimensione della formazione: dottorati industriali, master dedicati e percorsi di quantum engineering per creare una forza lavoro specializzata, capace di alimentare l’ecosistema nascente. Non meno rilevante la standardizzazione, condizione essenziale per garantire interoperabilità, sicurezza e competitività sui mercati globali.
Il nodo più delicato resta quello politico-istituzionale. Perché la strategia non resti lettera morta, occorre una governance interministeriale stabile, che tenga insieme Università e Ricerca, Imprese e Made in Italy, Difesa, Transizione Digitale e Agenzia per la Cybersicurezza. Senza un coordinamento solido, il rischio è quello di frammentare gli sforzi e disperdere le poche risorse disponibili. Al contrario, una regia unica consentirebbe di valorizzare il PNRR, favorire partenariati pubblico-privati e garantire una presenza autorevole nei tavoli europei.
L’Italia si trova così a un bivio: restare semplice fornitore di know-how, incapace di trasformarlo in capacità industriale, oppure imboccare con decisione la strada della sovranità quantistica. La Strategia Nazionale per le Tecnologie Quantistiche offre una roadmap, ma spetta alla politica e all’industria trasformarla in realtà. Se il Paese saprà investire con visione e continuità, la ricerca d’eccellenza potrà diventare il seme di una nuova stagione di competitività tecnologica. Diversamente, il rischio è di assistere, ancora una volta, a un futuro progettato altrove.