Caro Antonio,
ho letto con grande attenzione il tuo intervento del 23 luglio su la Repubblica, nella sezione Rcultura, intitolato “L’intelligenza artificiale non sarà mai capace di creare vera poesia”. L’ho fatto con rispetto e con un senso vivo di gratitudine per il fatto che temi così delicati – al crocevia tra spiritualità, linguaggio e tecnica – trovino finalmente spazio nel dibattito pubblico, e lo facciano con il respiro teologico e antropologico che da sempre accompagna le tue riflessioni.
Tuttavia, con altrettanta franchezza, mi permetto di osservare che il tuo saggio arriva, forse, con un leggero ritardo. Non tanto perché il tema non sia attuale – al contrario, è urgentissimo – ma perché molti degli interrogativi che oggi tu poni con finezza (la natura imitativa dell’algoritmo, il rischio di un’estetica anestetizzata, il fraintendimento tra varietà generativa e profondità poetica) sono stati già aperti, argomentati, e messi in circolo in un dibattito che vive da tempo anche fuori dai circuiti accademici. Anch’io, nel mio piccolo, ne ho scritto ripetutamente, e continuo a farlo – con spirito critico ma costruttivo – attraverso il sito www.aignosi.it, uno spazio di riflessione indipendente dedicato all’etica e alla cultura dell’intelligenza artificiale.
Non lo dico, si badi bene, per rivendicare primati o primogeniture (inutile esercizio in tempi generativi e asincroni), ma per affermare un principio che sono certo ci accomuna: il pensiero ha valore quando circola, si lascia contaminare, si fa comunità di dialogo. Ed è proprio in questo spirito – non di contrapposizione, ma di alleanza – che accolgo il tuo articolo come una conferma del fatto che stiamo toccando un nodo decisivo del nostro tempo. Che cos’è la poesia, oggi, in un mondo in cui tutto è replicabile, riproducibile, “generabile” da un prompt?
Credo che le intelligenze artificiali AI – comprese quelle più sofisticate – ci costringano, paradossalmente, a tornare all’umano. Non alla sua idealizzazione astratta, ma alla sua fragilità creativa, alla sua fame di senso, alla sua capacità di compiere atti gratuiti, liberi, e perciò poetici. Lo dico da ricercatore, ma anche da cittadino e da autore che crede nel valore pubblico delle parole.
Per questo rinnovo, a te e ai lettori di Rcultura, un invito aperto a esplorare i contenuti che stiamo costruendo insieme a tanti studiosi e appassionati su Aignosi. Non per cercare certezze, ma per abitare – come tu stesso scrivi – quella “tensione verso il bello” che nessun algoritmo potrà mai davvero addomesticare.
Con stima e con affetto,
Giovanni Di Trapani
www.aignosi.it