Luglio 2025. Secondo voci sempre più insistenti, sarà questo il mese in cui vedremo il debutto di GPT-5, la nuova creatura di OpenAI destinata – dicono – a cambiare tutto. Ma cosa significa davvero questo “tutto”?
Se GPT-4 ha stupito per coerenza e versatilità, GPT-5 promette qualcosa di diverso: non solo risposte, ma ragionamenti. Non solo scrittura, ma azione. Secondo alcune anticipazioni, sarà il primo modello capace di comprendere e generare testi, immagini, audio e video in tempo reale, diventando una sorta di collega digitale in grado di lavorare in autonomia.
Il salto non è (solo) quantitativo. Le indiscrezioni parlano di una drastica riduzione delle allucinazioni, una capacità di ragionamento logico molto più vicina a quella umana, e soprattutto dell’emergere di “agenti AI”: software intelligenti che svolgono compiti complessi – dal project management allo sviluppo software – in completa autonomia.
Fino a ieri si parlava di strumenti. Oggi il lessico cambia: si parla di co-worker digitali, capaci di imparare, adattarsi, agire. È qui che la svolta si fa culturale.
Le promesse entusiasmano: produttività aumentata, accessibilità universale al sapere, nuovi spazi creativi. Ma anche i rischi si fanno più concreti: delega eccessiva, opacità decisionale, erosione del lavoro umano cognitivo.
Siamo di fronte a un nuovo tipo di intelligenza: non generale, ma agente. Ed è questo che rende GPT-5 più di un aggiornamento. È una soglia. La domanda non è più se l’AI possa “pensare”, ma se possa “fare” al posto nostro – e in che misura siamo pronti a conviverci.
📌 Box: Cos’è un agente AI?
Un “agente AI” è un sistema autonomo capace di percepire l’ambiente, prendere decisioni e agire per raggiungere obiettivi. GPT-5 potrebbe essere la prima generazione realmente operativa di questi agenti.