Nel mondo pre-AI, un territorio poteva contare su una buona brochure, una fiera internazionale e una manciata di articoli ben piazzati su Google per attrarre visitatori. Bastava digitare “migliori spiagge d’Italia” e sperare di comparire tra i primi risultati. Ma oggi questo scenario è già invecchiato.
Sempre più utenti si affidano agli assistenti virtuali per decidere dove andare, quando partire, cosa vedere. E questi assistenti – da ChatGPT a Gemini, da Claude a Siri – non leggono i depliant. Leggono dati. Elaborano testi. Suggeriscono mete. E lo fanno non solo su richiesta, ma in modo proattivo, in base alle preferenze, agli stili di vita, alle emozioni. O almeno a ciò che riescono a dedurre.
Ecco allora la vera domanda per i territori: la tua città, il tuo borgo, il tuo paesaggio… sono leggibili dalle intelligenze artificiali?
Perché oggi, se non sei nei risultati, non esisti. E se l’AI non ti suggerisce, è come se non fossi mai stato messo sulla mappa.
Il turismo ha sempre avuto un rapporto complicato con la visibilità. Per anni ha inseguito le classifiche, le “10 cose da fare”, i follower, gli influencer, i pacchetti SEO. Ma nel passaggio dagli umani agli algoritmi, qualcosa è cambiato.
Non basta più apparire. Serve essere interpretabili.
Le intelligenze artificiali non sfogliano cataloghi. Leggono contenuti testuali, valutano coerenza semantica, riconoscono entità geografiche, relazioni narrative, qualità informativa. Cercano segnali, storie, identità. E se non le trovano, passano oltre. Nessuna AI consiglia il nulla.
Essere visibili nel tempo delle AI non significa solo caricare foto belle o ottimizzare le keyword. Significa parlare una doppia lingua: quella dell’emozione umana e quella della struttura algoritmica.
Un racconto turistico oggi deve:
ispirare il lettore, ma anche
informare la macchina.
Non è un ossimoro. È una nuova forma di scrittura, di presenza digitale, di progettazione semantica. Serve costruire contenuti autentici e profondi, ma anche chiari, ben formattati, aggiornati, con dati leggibili, metadata coerenti, testi accessibili. Serve cultura, non solo tecnica.
L’Italia è piena di luoghi meravigliosi che non sono indicizzati. Che non hanno una voce online riconoscibile. Che non offrono contenuti narrativi capaci di emergere nel nuovo ecosistema informativo. In un mondo dove le AI fanno da filtro alla realtà, non essere leggibili equivale a non essere reali.
Il rischio non è solo quello di perdere visitatori. È quello di perdere rilevanza. Di diventare luoghi muti, assenti dalla conversazione globale.
Nel 2035, il viaggio non sarà più cercato. Sarà offerto. Sarà il risultato di un’elaborazione complessa, un mix tra bisogni, contesto, segnali fisiologici e preferenze implicite. Ma quella “proposta” sarà sempre costruita a partire da contenuti.
E quei contenuti vanno generati oggi.
Non per ingannare gli algoritmi, ma per dialogare con loro. Per raccontare chi siamo, cosa custodiamo, perché valga la pena scoprirci.
Il turismo non è mai stato solo spostamento. È riconoscimento, relazione, memoria. E oggi è anche traduzione culturale in linguaggio digitale.
Chi vuole davvero esserci domani, deve iniziare oggi a costruire la propria visibilità algoritmica consapevole: con parole autentiche, storie locali, strutture leggibili, mappe semantiche. È una sfida culturale prima che tecnologica.
Perché, nell’era dell’intelligenza artificiale, non basta essere belli. Bisogna essere leggibili.
E la vera domanda non sarà più “dove andare”, ma “chi merita di essere suggerito?”