Nel lessico emergente dell’intelligenza artificiale, il termine “agente” ha ormai assunto un significato tecnico e filosofico rilevante. Non si tratta più di un semplice assistente virtuale o di un chatbot iterativo, ma di un’entità computazionale capace di prendere decisioni autonome, orchestrare strumenti esterni, completare task multi-step con un livello di indipendenza che apre interrogativi epistemici, giuridici ed etici.
Una recente guida pubblicata da OpenAI (A Practical Guide to Building Agents) offre uno sguardo dettagliato e pragmatico su come costruire questi agenti. È un testo rivolto a team di prodotto e ingegneri, ma la sua portata trascende la dimensione tecnica. Dietro ogni diagramma e riga di codice si intravede l’inizio di una trasformazione profonda: la delega cognitiva strutturata alla macchina.
Nel paradigma OpenAI, un agente è un sistema che non solo interpreta istruzioni, ma le esegue, prendendo iniziative e correggendosi quando necessario. Può interrogare database, inviare messaggi, compilare moduli, e se previsto, interrompersi e cedere il controllo all’utente o a un altro agente. Il suo cuore è un LLM (Large Language Model), ma ciò che lo distingue è la sua capacità di governare un flusso di lavoro, decidendo quali strumenti attivare, quando terminare un compito, e come rispondere in condizioni di incertezza.
Non tutti i modelli linguistici generativi sono agenti. Un sentiment analyzer, un chatbot a turno singolo o un assistente passivo non lo sono. La soglia è la capacità di agire con coerenza e scopo all’interno di un ambiente operativo.
Non sempre conviene implementare un agente. La guida lo chiarisce: gli agenti sono indicati per processi che resistono alla logica deterministica e si nutrono di ambiguità, eccezioni e linguaggio naturale. Alcuni esempi:
gestione dei reclami in customer service
verifica antifrode nei pagamenti
valutazione di contratti o documenti assicurativi
assistenza personalizzata in ambienti digitali complessi
In questi contesti, gli agenti superano le regole codificate e ragionano come un investigatore o un mediatore, piuttosto che come un esecutore.
Costruire un agente implica definire tre elementi:
il modello (che ragiona)
gli strumenti (API, funzioni, interfacce)
le istruzioni (prompt strutturati, regole, eccezioni)
A questo si aggiunge il tema dell’orchestrazione. È possibile operare con un agente singolo dotato di molti strumenti, oppure con sistemi multi-agente, dove ciascun agente ha una specializzazione (es. triage, vendita, supporto tecnico) e il compito passa da uno all’altro secondo logiche distribuite.
Due i modelli principali:
il manager pattern, con un agente “direttore d’orchestra” che chiama altri agenti come strumenti
il decentralized pattern, dove gli agenti si passano il testimone a seconda del compito
La modularità è fondamentale, ma può degenerare in complessità opaca se non accompagnata da istruzioni chiare e controlli rigorosi.
È qui che emergono le questioni critiche. Un agente può inviare un’email, autorizzare un rimborso, persino interagire con un conto bancario. Chi lo ferma se sbaglia? Chi verifica che l’input non sia malevolo? Come si prevengono jailbreak, fughe di prompt o manipolazioni del contesto?
La guida propone una strategia multilivello di guardrail: filtri di sicurezza, validatori di output, classificatori di rilevanza, sistemi di moderazione. Ma il pilastro resta sempre lo stesso: l’intervento umano. È lui l’ultima linea di difesa, il garante della reversibilità.
Due i casi chiave che impongono il “ritorno all’umano”:
superamento soglie di errore (l’agente fallisce ripetutamente)
azioni ad alto rischio (pagamenti, decisioni legali, dati sensibili)
La guida è tecnicamente lucida e orientata al risultato. Ma non risponde — e non può rispondere — alla domanda più difficile: un agente che agisce per conto nostro è ancora uno strumento, o diventa parte della nostra infrastruttura decisionale?
Quando delego a un agente un compito sensibile, non sto semplicemente automatizzando un processo: sto costruendo una grammatica implicita di comportamento, e lo faccio dentro una rete che non è neutra, ma modellata da chi ha progettato l’agente, da chi ha addestrato il modello, da chi ha scritto le API.
Ed è proprio qui che il progetto AIgnosi.it può contribuire: mettendo in discussione le assunzioni, chiedendo trasparenza sulle metriche di valutazione, tracciabilità delle decisioni, verificabilità degli output. Perché non si tratta solo di costruire agenti, ma di costruire fiducia in un ambiente automatizzato.